1854 – Generali anticipa il welfare state, un’invenzione europea
Nel corso dell’Ottocento, la rivoluzione industriale ebbe una repentina accelerazione, trasformando l’economia e la società dell’epoca. Dalla metà del secolo crebbe la sensibilità per la vita delle persone, che doveva essere custodita e protetta.
Nel gennaio 1859, il governo di Vittorio Emanuele, ultimo re di Sardegna e di lì a poco primo re d’Italia, presentò al parlamento piemontese un disegno di legge per l’istituzione di una Cassa di rendite vitalizie per la vecchiaia dei lavoratori. In Germania, nel 1883, Otto von Bismarck introdusse l’assicurazione contro le malattie. A essa lo Stato tedesco fece seguire, nel 1884, l’assicurazione contro gli infortuni e nel 1889 quella per la vecchiaia. L’Italia lo seguì alcuni anni dopo, istituendo la Cassa nazionale di previdenza, per l’invalidità e per la vecchiaia degli operai nel 1898, resa obbligatoria nel 1919.
Generali si era mossa in largo anticipo rispetto ai governi statali. L’azienda coltivava idee ingegnose, volte ad attivare piani per l’avvenire dei propri dipendenti. Già negli anni 1853 e 1854, grazie alla lungimiranza del segretario generale Masino Levi, nacque la “Cassa Pensioni”, destinata a provvedere alle famiglie in caso di decesso dei dipendenti. Nel 1877, Levi passò la mano a Marco Besso, autentico innovatore nel settore del ramo vita, che gli succedette nella carica di segretario generale.
Besso individuò alcuni problemi: l’insufficienza finanziaria, l’accumulo di debito per le pensioni future a seguito del cospicuo numero degli iscritti e dei contributi a carico dell’azienda. Quindi, avvertì la necessità di rafforzare le basi del sistema, mettendo a frutto la sua esperienza e i suoi studi in materia, maturati a livello nazionale e internazionale. In quegli stessi anni dedica le sue competenze attuariali a una serie di proposte sulle società di previdenza e di mutuo soccorso, che egli considerava una delle più genuine espressioni del liberalismo, della sua vocazione alla realizzazione individuale. Nel 1880, Generali istituì dunque la “Cassa di Previdenza”, che includeva, oltre il caso di morte, anche quelli d’invalidità e vecchiaia. Nel 1923 sciolse la “Cassa Pensioni” e istituì il “Fondo di Previdenza”, che divenne parte integrante del Contratto collettivo di lavoro per il personale delle Direzioni italiane.
Le ripercussioni furono notevoli, per i dipendenti e per l’azienda stessa. La Cassa Pensioni, poi Cassa di Previdenza e infine Fondo di Previdenza, coinvolgeva attivamente gli impiegati e le loro famiglie, offrendo loro un valido sostegno in caso di difficoltà. Al contempo, accresceva il loro senso di appartenenza e la loro fedeltà alla compagnia.
Ma l’azione della Cassa Pensioni non si limitava a creare un beneficio reciproco tra lavoratore e azienda. Infatti, includeva anche un’idea di welfare aziendale in anticipo sui tempi e non comune in altre realtà lavorative del tempo. Il fatto che un dipendente, oltre che su un posto di lavoro sicuro, potesse contare su garanzie per la salute e la vecchiaia propria e della sua famiglia, era un elemento di distinzione sociale. E l’affezione per la compagnia aveva un’influenza positiva sulla società in generale.
Un’attenta lettura dei dati può dare un’idea di quanto la Cassa Pensioni mutasse gli orizzonti di vita delle persone di Generali.
Il bilancio relativo al 1855 è il primo a dettagliare lo stato della Cassa Pensioni. Nel primo anno di attività, a fronte di 1.276 impiegati, risultano in cassa 4.942,17 fiorini. Nel 1866, anno del passaggio del Veneto all’Italia, la Cassa Pensioni è in possesso di 131.405,33 lire, pari al totale della moneta divisionaria in argento messa in circolazione nel Regno d’Italia. Nel 1881, a cinquant’anni dalla nascita di Generali, i dipendenti, compresi ispettori e agenti, erano 6.135 e il fondo salì a 483.566,22 lire. Nel 1906, per il 75º anniversario di Generali, i dipendenti risultano pari a 15.562, mentre il fondo della Cassa di Previdenza raggiunge 5.543.811,11 lire e cresce costantemente, a parte una lieve diminuzione dopo la prima guerra mondiale.
Questa crescita costante e consistente era il segno di una speranza condivisa, che dall’azienda e dai suoi dipendenti si propagava nella società. Come concluse Marco Besso il 24 febbraio 1910, al termine di una conferenza tenuta al Collegio romano: «l’utopia diverrà la realtà, ed ogni più ardito nostro sarà cosa vera, viva e palpabile […] se ad una umana e saggia opera di distribuzione delle nuove e sempre crescenti nostre risorse materiali, si saprà accoppiare una non meno saggia e umana distribuzione dei rischi che sono inseparabili dalla nostra esistenza, facendone cadere sul singolo individuo una frazione così tenue, da renderli agevolmente sopportabili ad ognuno».